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Utopia
Un sogno cullato, cercando sull’Ararat
l’ultima scheggia dell’arca salvezza.
Uno sguardo sdegnato all’ingiustizia,
aspettando la caduta del palazzo egoista.
Il cammino è stato impervio
la meta sempre più evanescente.
Lo specchio riflette le rughe degli affanni
e il vigoroso nuoto controcorrente si fa più incerto.
L’isola dell’uomo perfezione diventa un punto di domanda.
Si lascerà, allora, andare nel piatto deserto dell’oblio
solo, cercherà conforto nel colle dell’infinito,
come animale braccato, troverà rifugio nella sua tana
o tenterà di riaccendere il fuoco con l’umida selce,
per riscaldare ancora il suo corpo sfiorito.
Ma, come ombra ovunque e sempre lo seguirà
l’antica e cara illusione.
Luigi Artusi 2010 |
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A Gaza i s'a gasą
A Gaza i s'a gazà
e no i se vol fermar.
Come na volta Davide e Golia,
(creandose anca qualche simpatia)
I xe partii coi sassi
e coe paeotoe de goma,
i xe rivai ai martiri
e ae ritorsion coi missii.
More putei e veci
operai e contadine,
quanto sangue par gnente
quanti luti e rovine.
A Gaza i s'a gazà
nessun gà più pietà
Paestinesi, Ebrei
do popoi quasi fradei
do civiltà remote
che xe drio coparse de bote.
Ortodossi e Integraisti
coloni e kamicase,
i dà tuti na man
parchè no ghe sia più pase.
Falchi neri, falchi dea morte.
I vinse soeo parchè i siga più forte.
A Gaza i s'a gazà
Par Dio e par Allà
No me riesse de tifare
par nessuna dee do scuadre,
ma so che ghe xe ancora
chi che lavora sodo,
da una parte e da staltra parte,
pa trovar co fadiga un minimo de acordo.
Quei xe i unici veri eroi,
testardi come mussi e tanto, massa soi.
De eori, nessun ghe ne parla mai,
ne par ea tivù e gnanca pa i giornai.
A Gaza i s'a gazà
Xe proprio un gran pecà.
I gà tutti i so boni motivi
Par esser deventai cussi cativi,
ma ea rason o el torto
ormai xe a un punto morto.
Se i vol coparse tuti, co vioensa,
par ea tera, par vendeta, par dimostrar potensa,
se no i vol più sentire
pietà, toeransa, amore...
no so più cossa dire,
ma ve giuro, me pianse tanto el cuore.
Luigi Artusi 2002 |
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In Strada
(on the road)
De machinone ghe xe on bel via vai,
xente par ben, i par tuti industriai,
ma co on bruto visieto; i gransi in scarsea
i voria roba zovane e fresca, co poca monea.
Na gran bea figura nol fa de sicuro
l'amante latin, ch’el par scaenà, co pena fa scuro
sarà i schei, el coeor dea pee, el sentirse paron
sta de fato che in sto circoeo ghe xe tante adesion.
Sui impulsi del sesso, soe perversion, sol personae
no vojo dar dei giudissi, ne far ea morae,
ansi dee volte penso sensa paura
ea signora che bate ea xe na santa creatura,
i protetori dei pori cristiani xa tanto sfigai,
i clienti dei puteoni un poco vissiai.
Ma dopo me vien na rabia, na gran mestissia
ea xe ea soita, vecia storia de umana ingiustissia,
dei siori e poareti, de sciavi e paroni
dea dona e dell’omo, dei vioenti e dei boni.
Ea xe na storia che no gavarà solussion,
fin quando l’Omo nol se metarà in discussion.
Luigi Artusi 2002 |
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Lamento d'amore di un liberto
Calda amante di notti insonni,
cara amica di ogni momento.
Ti avevo incontrata tra i banchi di scuola,
innocente, piccola bionda.
I nostri primo baci, timidi, furtivi.
Poi l'amore, un amore ardente, struggente,
quasi da mozzarmi il fiato.
Aspiravo con avidità il tuo profumo,
carezzavo il tuo corpo con bramosia,
uscivo disperatamente di notte per cercarti,
ti volevo sempre accanto, io, tuo schiavo fedele.
Insana passione, morbosa, totalizzante.
Ho abusato della tua arrendevolezza,
ti ho consumata un po' alla volta,
ti ho usata e poi buttata,
ma tu continuavi a pendermi dalle labbra,
senza ritegno, pronta a darti, sempre senza domande.
Ora per ripagarti ti ho lasciata
per crudeltà, noia, ribellione, viltà,
il perché non lo so,
ma credimi, mi manchi.
Luigi Artusi 2000 |
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N. E. Nord Est
Cara, dolce polentonia, terra mia,
terra meravigliosa, generosa, operosa, rovinata,
terra di taciturni montanari, alito alla ruta,
di rissosi pescatori, di contadini ruzzanti e ruspanti,
di gran signori, gran dottori, di matti e “magnagati”,
di santi visionari, di patriarchi saggi e tiranni, di buona gente.
Antica civiltà agreste di mille razze incrociate,
di mille razzie subite, di povertà fatalistiche, di atavici sudori,
di virtù accertate o supposte.
Dialetto da servette, cantilena fluttuante di laguna,
intercalare blasfemo tra preci al leone alato
e al frate di Lisbona.
Polenta e vino a fiumi,segni di talassemia malarica,
di demenza etilica, di pellagra antica.
Terra di forzati viaggiatori, mesti colonizzatori con valige di cartone.,
di buoi tristi e vinti, di muli testardi e forti e un po’ somari.
Miserie dimenticate in fretta.
Cancellate con orrende case fotocopiate senz’anima,
divani incelofanati, pattine per non sporcare,
garage, taverna, servizi doppi, figli unici viziati.
Deportazioni in massa, per liberare
città museo, da feccia proletaria e caciarona.
Lucidi salotti di perbenismo, con cadaveri
ben celati in armadi profumati di incenso e sagrestia.
Terra tranquilla, abulica, perversa, feroce, moralista,
la famiglia e Pietro Maso, l’acqua santa e dio palanca,
la solidarietà e Forza Etna.
Lavoratori indefessi e forse un po’ fessi,
stoiche, pazze formiche votate al martirio per un elettrodomestico in più.
Padroni e padroncini, evasivi, bonari, pacche sulla spalla,
pronti alla fuga predona verso altri Est.
Miraggio di benessere, di possesso, di fragile godimento,
laboratorio avanzato del Grande Fratello, miracolo
italiano, pompato e travisato, esperimento senza amore e senza memoria.
Nord-Est, California del cazzo!
febbraio 1999
Luigi Artusi |
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Valona
Valona, misera città, surreale,postatomica,
abbandonata dalla speranza,
baia di pirati avidi e feroci.
Assurde Mercedes su strade terzomondiste,
case spettrali, con paraboliche illusorie,
per aquile sconfitte e senza artigli,
raffiche notturne di mitra impazziti,
sospetto sciacallaggio caino.
Impossibilità reale di aiuto, ai fratelli del nord,
incapacità di nutrire un improbabile pellicano,
dal grande becco vuoto, in un mare così avaro di prede.
Poi l’isola, l’isola della tragedia,
del popolo umiliato, straziato, cacciato.
Girone quasi privilegiato, di un inferno
troppo umano, troppo nefasto.
Tendopoli ordinata, protetta, sfamata,
da nobili sentimenti, nobili azioni, penose presunzioni.
Strani italiani, generosi, solidali, brava gente.
Sodalizio di facce diverse, sogni diversi:
turisti umanitari e cacciatori del paradiso,
missionari della fratellanza e consapevoli
“siamotuttikossovari”
comunque uniti nel contrappunto
alla barbarie, alle bombe, alla demenziale
politica dei violenti.
Soccorso giusto, abbraccio indispensabile
ad un popolo dignitoso e sfortunato,
a meravigliosi bimbi sorridenti,
a uomini e donne che nulla fanno trasparire,
delle tremende pene della loro anima.
Pallido Arcobaleno, dopo la folle tempesta,
stilla impercettibile in un oceano di bisogni,
fortuita, formidabile occasione di conoscenza,
di comprensione, di amore.
Lenimento, momentaneo, all’odio, alla rabbia,
all’impotenza.
Al di là di fredde analisi salottiere,
al di là di interessi personali, nazionali, mondiali,
al di là di ferali strategie dei padroni della guerra,
mutuo soccorso, reciproca stima, tra uomini semplici.
Grazie, falemnderit!
giugno 1999
Luigi Artusi
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Rantolo
Ho visto i dementi peggiori della mia generazione
cercare tra strette strade padane fumose
osterie, ingozzarsi di lardo rabbioso, vomitare
bestemmie parlando di calcio e di figa. Ingozzarsi
di ipocrite ostie, sputandole poi sul sagrato. Vendersi
per pochi denari al miglior offerente, per non sentirsi
fallito o perdente. Li ho visti nutrire la terra
con linfa schifosa, cercare profitto guadagno potere su ogni
disgrazia. Antropofagi iene sciacalli gustare
il pasto di indifese miserie. Li ho visti riempire
il mondo di mine e minestre, schiacciare pulsanti
di morte e grilletti cri-cri. Offendere giovani vite,
odiare l’amore, comandare, obbedire, tacere, sparlare.
Essere stronzi.
Ho visto quelli della mia generazione seguire
cortei senza fine gridando la rabbia la voglia
l’utopia e poi diventare leccaculi venduti potenti. Li ho visti
danzare nudi a chiedere al cielo la pioggia e poi,
casualmente ha piovuto. Fumare il lungo
calumet della pace senza essere indiani. Ingoiare
Lsd senza essere Timothy. Farsi le pere
senza essere William S. Scrivere Rantolo senza
essere Allen. Li ho visti scoppiare come
palloncini troppo vicini al sole. Impazzire gonfi
di pasticche, morire soli, straziati, suicidi. Li ho visti sparare
a gambe sole, indifese, tremanti, a teste toste e pensanti,
con colpo di grazia finale. Pentirsi, parlare, tradire.
Li ho visti procreare diventare monogami con l’antico
vizietto del libero sesso. Dibattersi nel tetro ogni giorno
sperando in un 13, nella pensione, nella buona sorte,
nella morte. Li ho visti angeli con ali di cera, teneri
delicati, cadere a terra avvelenati da fetidi peti
di umanità ammorbata. Li ho visti compagni e
cambiati. Li vedo con me, silenziosi tristi invecchiati
andare per queste strette merdose strade padane sempre
più scivolose infide buie, sognare l’amore.
Aprile 1997
Luigi Artusi |
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A Silvano
Fragili creature, fuori dal tempo dei lupi e dei pavoni
lontane dal pesante fragore delle apparenze.
testardi, teneri, originali amanti
offesi fino all'ultimo abbandono.
testimoni innocenti di antica miseria
viandanti ai margini di avvelenate terre
continua Silvano, il sogno impossibile.
vola
pedala leggero, senza fatica
sulla strada, ora liscia quieta amica
con tanta tristezza
alcuni amici
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Luigi (GIGI) Artusi - biografia - Miniera dei sogni |
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T. I. C. & V. A. L |
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Tajate i cavei e va a lavorare |
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