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LAVORADÔRS SPARAGNÌNS *
Non vesto elegante
un cognome che risuoni
importante fra le eco
pronunciate a fil di voce.
Non drappeggia su pennoni
teso al vento del passatto
alcun grifone a rinverdire
antiche fronde di famiglia.
Mio padre è solo un padre
onesto e fiero di un lavoro
che gli ruba ogni giorno
tutti i giorni della vita.
Mia madre è solo una madre
ogni sera un po' più stanca
in una saga che la vede
raddoppiarsi nella fede.
La mia gente non è gente
usa all'arte o alla parola
ma lavoradôrs e sparagnìns
- ché colla fame non si scherza!
E non è certo il mio paese
pur altero nel suo nome,
graffio appena di una nota,
quella Monaco tedesca
che col freddo nei capelli
di una stirpe di filosofi
si ritaglia spazi grigi
con grandiosa sonnolenza,
nè un Roma di poeti
dentro al corpo di una donna
o una Istambul d'aspirare
sopra un Bosforo di brace.
Sono dunque solo un nome
buono appena a riempire
spazi vuoti di una storia
che non tollera invenzioni,
una data, a breve due,
sconficcate dalla terra
come esili confini
rovesciati da un aratro.
Ma per questo tuttavia
non posso fare a meno
di pensarmi come un uomo
che negli occhi di un bambino,
dietro al vetro del presente,
piega indietro dal domani
per esser ciò che scritto
ormai non può che leggere.
* Lavoratori e oculati, (in friulano)
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UNA MACCHINA VA IN MOTO
Cristo santo! C’è un caldo infernale!
L’odore della terra è insopportabile
o forse è quello del vento o del figlio
albino e spigoloso di entrambi.
Il piagnucolare sbilenco del ventilatore
– rassicurante metronomia per non addetti –
sembra avercela con Ella Fitzgerald
che da una radio distorta più in là
parla di amori e tradimenti
quasi sapesse di me e tutto il resto.
Mi giro; lei è lì, sudata, liscia
morbida e piena come un frutto
pronto ad esplodermi in bocca e colarmi
dalle labbra sul petto, sul ventre.
Fuori una porta sbatte
e mi ricorda che esisto
in un tempo adesso fermo, liquefatto.
Un cane rognoso bestemmia e la sveglia;
mi sorride e mi chiede cos’ho;
non ho niente, anzi
ho caldo; anche lei; mi accarezza.
Ella Fitzgerald continua a cantare
ma adesso non si capisce cosa.
Una macchina va in moto;
sono le quattro, è ora di andare;
spengo il ventilatore e do un giro di chiave.
Cristo santo! C’è un caldo infernale!
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L'ELEFANTE DI PORCELLANA
Eppur contavo sicuro sul fatto
che aver deciso quale nuovo
inquilino e quale no, potesse
sciogliere le stringhe ed entrare,
chi per la prima volta, chi gridando
"il solito" e nemmeno grazie,
potesse bastare a risparmiarmi
lo spettacolo dei miei pensieri
gattoni a far le fusa contro un muro
che si dice salga dritto fino a Dio.
E invece no, sono daccapo con la testa
a misurare tra le mani quanto dista
un palmo di saggezza da uno di pazzia.
Be', per me basta ne ho abbastanza!
E se i cocci poi, sono davvero di chi rompe
allora, almeno non mi si guardi
come se fossi il ladro di me stesso,
tutt'al più mi sono permesso
una volta o due la confidenza
di metter tutto in conto a Lui.
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FAR TREMARE DIO
Hai presente quando piove?
Prima o poi sai che spiove
ma intanto piove e Dio solo sa
se smetterà in tempo per le tre,
tre e qualcosa s’è detto
– il pallone stavolta lo porto io;
ma piove; e se gli altri non vengono?
Porca! guarda che cielo, non è giusto!
Hai presente quando tiri un calcio?
Non uno qualsiasi, il primo;
da lì sai come andrà tutto il resto
e fa niente se senti gli altri ridere
o stupirsi, non è quello, è… porca!
la tua assurda personale benedizione,
scartaggi, passaggi e acrobazie, tutto
dipende da quel tiro tanto immaginato.
Hai presente quando fai gol?
Ma non un golletto segaiolo,
un tiro a girare che sputa
passando sul palo e gonfia le rete!
Hai perfino paura che qualcuno
pensi che hai sbagliato, che volevi passarla
e allora guardi tutti di sottecchi
tra sfida e vergogna, perché e vero; ma l’hai fatto!
Hai presente quando torna tuo padre?
Sei lì impaziente da almeno due ore
con ancora mani e orecchie che pulsano
dal freddo e dall’ultimo gol conteso;
entra e gli sei addosso come in scivolata,
mimando gli fai vedere come hai fatto
a vincere Coppa Campioni e Campionato
praticamente da solo… o quasi.
Hai presente quando diventi troppo grande?
Il tuo Maracanà torna ad essere
quell’angolo di campagna, i tuoi incroci
giacche e berretti a bagnarsi sul prato
e tuo padre non c’è più a sorriderti,
a farti sentire che ne valeva la pena.
Hai presente quando senti che ne vale la pena?
Bè, sei tu ora a far tremare Rio!
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SOLITUDINE
Ma quale
solitudine e solitudine?
solitudine sarebbe
non averti conosciuta,
mentre invece tu
sei stata
e il tuo non esser più
non fa che risvegliare
il profumo che di te
riempie osceno
silenzi che si guardano
smarriti in questo chiasso
dei tuoi passi mentre esci
sul pietrisco dei miei giorni.
Ma quale
solitudine e solitudine?
solitudine sarebbe
non averti conosciuta.
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Luigi Gonano: luigi.gonano@libero.it |
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