STATI DI COSCIENZA
Di Stefano Lazzarich
 
     
  La Coscienza, questa cosa per noi così importante da essere l'elemento discriminante in alcuni processi penali ( "...l'assassino é non punibile in quanto é risultato essere non cosciente al momento dell'atto...") e tuttavia così sconosciuta; familiare al punto da non accendere facilmente la nostra curiosità, eppure così sfuggente davanti alla ricerca ostinata di colui nel quale tale curiosità si é accesa. Cos'é la Coscienza? E quale la sua natura? E' costante o variabile? Possono sembrare domande gratuite tese solo a perdere tempo, ma quand'anche fosse così reputo ugualmente necessario affrontare l'analisi che seguirà non tanto per il gusto di soddisfare una curiosità, quanto per contribuire a catalizzare la nostra attenzione sul "supporto" della Coscienza, cioè l'Uomo, cioè noi stessi.
Cominciamo pure da questo punto a noi così vicino e dal fatto che si ritiene la Coscienza così nota da poter essere definita "esattamente" in un qualsiasi dizionario. Seguiamo quindi tale strada ed apriamo il nostro aggiornatissimo dizionario:
Coscienza: consapevolezza, percezione che l'uomo ha di sé, del proprio corpo, delle proprie sensazioni, delle proprie idee, dei significati e fini delle proprie azioni; (psicologia) modo particolare in cui le esperienze o i pensieri psichici, quali percezioni, ricordi, eventi intellettuali, sentimenti, desideri ed atti della volontà, sono dati e conosciuti al soggetto.
Dopo un attimo di superficiale soddisfazione, man mano che le parole si spengono e i relativi pensieri vengono digeriti, ci accorgiamo che il problema viene solo spostato: cosa significano le parole "conoscere" e "soggetto"? Riapriamo il dizionario:
Conoscere : prendere possesso intellettualmente di qualunque aspetto di quella che é considerata realtà; (filosofia) rapporto tra soggetto e oggetto, tra pensiero ed essere, che si può configurare in vari modi.
Soggetto: l'io in quanto realtà pensante, specialmente in contrapposizione all'oggetto pensato.
E gia che ci siamo vediamo dunque pure:
Oggetto: tutto ciò che il soggetto conoscente intende come diverso da sé; tutto ciò che esiste di per sé, indipendentemente dalla conoscenza.

Mi sembra chiaro che almeno nel presente contesto la pretesa chiarezza ed esaustivitá del dizionario esistono solo per chi si vuole accontentare a tutti i costi, mentre anche una prima superficiale analisi di ciò che é scritto ci fa necessariamente notare che coscienza, conoscenza, soggetto, oggetto, realtà formano una serie di concetti che si rimandano l'un l'altro reciprocamente, senza quindi riuscire a stabilire niente di ben definito, e che tuttavia ci ingabbiano nella loro inflazionata proliferazione di caleidoscopiche mutue riflessioni dandoci l'impressione di sapere cosa stiamo considerando. Ma é davvero così?

Ripeto perciò le domande iniziali, rivolgendomi però ora solo a chi non si soddisfa con una facile sensazione di indubbia familiarità (ci mancherebbe altro che la coscienza non ci fosse familiare!) ma vuole
provare ad affrontare direttamente la questione. Proprio a tal fine propongo paradossalmente di non cercare una risposta, ma di limitarci ad analizzare tutto ciò che sappiamo lasciando che la risposta, se pur ne esiste una, nasca da sola.

E' innanzitutto evidente che la nostra concezione di "coscienza" é una concezione duale che riflette la relazione soggetto-oggetto, e che anche la cosiddetta autocoscienza nasce da un gioco di specchi Soggetto-soggetto dove la S maiuscola indica il vero soggetto, mentre la minuscola quello conosciuto (questo espediente grafico verrà usato anche in seguito ogni qual volta la scelta di vocaboli differenti ci allontanerebbe dall'argomento più dello sforzo di discriminare fra. significati e ruoli diversi della stessa parola). Qualcuno potrebbe obiettare a ragione che non sempre la coscienza é duale, ma reputo che volendo partire da ciò su cui tutti solitamente concordano, lasciando quindi da parte situazioni particolari (anche se forse più vere), non possiamo non accettare la natura duale di ciò che chiamiamo coscienza; prendendone atto proviamo perciò a descriverla nelle varie situazioni ed anzi, per semplicità di analisi, individuiamo tre situazioni principali note a tutti per esperienza diretta. Voglio subito far notare però che non per questo dobbiamo immaginare la coscienza come saltellante bruscamente fra una situazione e l'altra; tale suddivisione serve infatti solo per fissare degli stati di riferimento al fine di poterne poi cogliere analogie e differenze, prescindendo da tutte le possibili colorazioni intermedie che la coscienza può assumere. Questi stati di riferimento li indichiamo con i termini di Veglia, Sogno e Sonno (profondo).
Lo stato di veglia si ha quando i sensi e la mente della persona lavorano su dati condivisi o condivisibili con le altre persone; questi dati vengono considerati come “esterni” alla persona (per il momento tralasciamo di considerare come possa essere effettivamente provata la succitata condivisione). Per stato di sogno (comprendente allucinazioni, fantasie, stati estatici, etc…) si intende la situazione coscienziale in cui sensi e mente lavorano su dati non condivisi con altre persone; questi dati vengono perciò considerati "interni" alla persona. Occorre subito notare una cosa su cui ritorneremo meglio in seguito: la totale soggettività dell'esperienza coscienziale in questione viene riconosciuta come tale solo a posteriori e mai durante l'esperienza stessa!


Questi primi due stati sono accomunati dal fatto che in entrambi i casi abbiamo una certa organizzazione della "realtà" percepita che rende impossibile la sua falsificazione all'interno dell'esperienza stessa, a differenza di quanto succede con una normale illusione (per esempio una illustrazione "tridimensionale" non inganna il tatto).
Propria quest’organizzazione e coerenza interne delle due situazioni fanno sì che i bambini piccoli possano confondere "realtà" e "fantasia", essendo per loro ininfluente l'unico effettivo elemento discriminante: la conferma delle proprie esperienze attraverso la loro condivisione con gli altri!
Il terzo stato, quello di sonno profondo, si ha quando non c'é la percezione di nulla, quando soggetto e oggetto si fondono, o meglio non sorgono per mancanza dell'oggetto che li "divide" (vedere le definizioni già riportate di soggetto e oggetto). Naturalmente anche in questo stato c'é una certa attività cerebrale, con vita e "coscienza" vegetativa; ciò che manca in fin dei conti é proprio la dualità che caratterizza la nostra usuale concezione di coscienza. Inoltre anche se solitamente si dice “nel sonno non sono cosciente di nulla", sarebbe più esatto dire "sono cosciente di nulla" per sottolineare che anche allora, durante il sonno profondo, la Coscienza c'é ed é attiva. E non mi riferisco solo alla predetta "coscienza vegetativa", cioè alla consapevolezza che il corpo deve avere di sé per non morire, ma al fatto che se la coscienza durante il sonno fosse effettivamente assente non potrebbe poi esserci, durante la veglia, la coscienza che “io ero incosciente” (se ciò fosse vero al mio risveglio in una stanza buia io non potrei sapere di aver dormito, mentre tutti ne siamo consapevoli anche prima di avere dei riscontri esterni).
Potremmo riassumere queste ultime osservazioni dicendo che una "coscienza" non duale non viene solitamente presa in considerazione, anzi che l'esistenza di una forma di coscienza senza oggetto (e quindi senza soggetto) viene di solito rifiutata nonostante vengano comunemente accettate sia la continuità che l'identità del senso dell'io nell'alternarsi dei tre stati, il fatto cioè che "io che sto scrivendo, io che stanotte ho sognato di essere in America ed io che poi ero incosciente sono sempre la stessa persona!". Possiamo esprimere quest’ultima convinzione anche in un altro modo, dicendo cioè che "coscienza" e "lo" risultano sempre presenti, e sempre assieme, pur assumendo sia l'una che l'altro forme diverse nelle diverse situazioni. Voglio far notare però che l'Io che qui affermiamo essere sempre presente é il Soggetto effettivo e non l'idea-io (cioè l'ego ) che sorge considerando i vari atti del Soggetto. L'ego, infatti, sparisce durante il sonno profondo, pur persistendo come abbiamo visto il senso di identità e di continuità del Soggetto, e non é altro che l'oggetto del processo di autocoscienza.
L'osservazione riguardante la persistenza nel tempo di Coscienza e Soggetto ci induce a postularne la Realtà, almeno nella loro essenza ultima, volendo con ciò indicare proprio il loro essere sempre esistenti . Anzi già a questo punto sorge spontaneamente il legittimo dubbio che Coscienza e Soggetto siano solo due diversi aspetti della stessa "cosa" dato che, se così non fosse, dovrebbe essere possibile almeno in qualche contesto separarli ed avere a disposizione solo l'uno o l'altro di essi: questo però non fa parte della nostra esperienza.

Di ciò comunque ci occuperemo più specificatamente in seguito, mentre per ora torniamo a considerare la differenza fra Soggetto (o Sé, secondo una diversa terminologia) ed ego. Abbiamo già visto che l'ego c'é solo quando il Sé considera sè stesso, cioè prende mentalmente coscienza della propria esistenza; ciò che solitamente si chiama autocoscienza è anzi in realtà coscienza dell'ego e non del Sé, proprio perché la coscienza-consapevolezza solitamente si considera solo a livello mentale (il dizionario conferma!). E’ peraltro vero che quando il Soggetto analizza sè stesso non può fare a meno di analizzare l'ego, e anzi si può dire che “io” (=ego) è proprio il Sé-Soggetto che si analizza-conosce mettendo la mente al lavoro, la quale mente ad un tempo crea e viene creata nel processo di percezione-analisi-concezione. L'interdipendenza causale di mente ed ego fa sospettare in ultima analisi la loro identità, riferendosi le rispettive differenze ancora una volta solo all'aspetto considerato, analogamente alla sospettata identità Coscienza-Soggetto postulata precedentemente.
Torniamo però a considerare i tre stati di coscienza soprattutto in relazione a chi conosce che cosa nelle varie situazioni. Cominciamo dal sogno. Qui siamo tutti facilmente disposti a riconoscere (anche se solo a posteriori, durante la veglia!) che il mondo che Io percepisco in sogno fa parte di me, é una mia creazione mentale, é solo un aspetto della mia mente. Posso dire che in questo stato il Soggetto ha coscienza del Soggetto come diverso da sé stesso . Consideriamo ora la veglia dove, come visto, la differenza principale rispetto al sogno é la condivisione del "materiale" percepito e la conseguente conferma della sua esistenza "reale" (=condivisa) e non "irreale" (=soggettiva). E' bene però notare l'arbitrarietà di questa differenziazione che pur ha una sua validità pragmatica. Infatti reputando reale solo ciò che é condiviso, e condivisibile solo ciò che é reale, si innesca un circolo vizioso che trova la sua giustificazione solo in una precedentemente accettata divisione fra ciò che é reale e ciò che non lo é, non fornendo esso stesso alcun elemento indipendente per stabilire la realtà o meno di un oggetto che arriva alla nostra coscienza. Inoltre i meccanismi cognitivi finali , quelli tanto per capirsi che rappresentano l'ultimo passo prima della "presa di possesso" coscienziale di un certo "oggetto", sono gli stessi sia nel sogno che nella veglia, variando nei due casi solo l'origine degli impulsi nervosi che fanno poi sorgere una data percezione. Come viene d'altronde provata l'effettiva condivisione con qualcun altro del dato- oggetto percepito, cioè l'esistenza "reale" degli oggetti indipendentemente dal soggetto percepiente? La risposta é che non viene né può venir provata! Infatti tutto ciò che viene sottoposto a verifica, scambiato e perciò condiviso , non é altro che il frutto della percezione di qualcuno . Il tutto é sicuramente ben organizzato e non falsificabile all’interno della situazione di veglia (ma questo vale anche per il sogno!), però nostro malgrado non abbiamo alcuna prova dell'esistenza di qualcosa indipendentemente dalla percezione di qualcuno (non per niente gli Indiani Vedantini indicano Sat-Chit, cioè Essenza-Conoscenza, come aspetti primari, unitari e non differenti del Reale!). In base a tutti gli elementi che siamo venuti elencando precedentemente mi sembra che si possa benissimo dire che anche nello stato di veglia il Soggetto ha coscienza (solo!) del Soggetto come diverso da sé stesso, non essendoci fra sogno e veglia alcuna differenza sostanziale tale da provare che nella veglia le cose siano effettivamente diverse. La resistenza psicologica all'accettare tale fatto nasce dall'unica vera differenza fra sogno e veglia, e cioè che mentre il sogno lo possiamo analizzare dallo stato di veglia (scoprendo così l'identità fra sognatore e oggetto sognato) non si riesce mai ad analizzare lo stato di veglia da uno stato coscienziale diverso.

Consideriamo infine il sonno profondo. Come già detto qui non c'é alcuna percezione, alcuna conoscenza, essendoci tuttavia la coscienza di questa non percezione. Possiamo quindi dire che ora il Soggetto non ha coscienza di alcun oggetto o meglio, visto che anche negli altri due stati qualsiasi "oggetto" non era altro che il Soggetto, si può dire che nel sonno profondo il Soggetto non ha coscienza del Soggetto. Venendo a cadere la dualità soggetto-oggetto abbiamo qui una unità nella quale "qualcosa" comunque c'è, e sia per continuità che per le osservazioni iniziali sulla persistenza del Sé nei tre stati coscienziali, assumiamo che questo "qualcosa" sia proprio il Soggetto, il Sé (non é certo pleonastico ribadire che il Soggetto di cui si parla qui é qualcosa di completamente diverso dal soggetto-ego che noi percepiamo nella veglia e/o sogno).
Fino a qui abbiamo trattato solo cose che appartengono a ciascuno di noi per esperienza diretta e che pur analizzate e confrontate in modo forse inusuale non hanno subito alcuna "aggiunta" arbitraria. Proviamo invece ora a lavorare di fantasia. Estrapolando le precedenti osservazioni possiamo dire che quando (e se!) il Soggetto ha coscienza del Soggetto come Sé stesso (affermazione A) usciamo necessariamente dai tre usuali stati di coscienza. Lo stesso verbo "avere coscienza di..." cambia qui significato venendo a cadere la differenza (anche se illusoria) fra soggetto e oggetto, e quindi anche la possibile relazione-presa di coscienza fra di essi. In questo per noi ipotetico stato, pertanto, il Soggetto non ha più coscienza (affermazione B), né nell'accezione comune del termine né in quella "allargata" da noi usata in relazione al sonno profondo. Abbiamo allora qui (in questo ipotetico "qui") due conclusioni contraddittorie (affermazioni A e B) che riflettono le limitazioni intrinseche del linguaggio che siamo costretti ad usare, purtroppo l'unico da noi elaborato durante secoli di esperienze in cui evidentemente "questo" stato di coscienza o non si é mai concretizzato o non lo é stato con sufficiente diffusione e condivisione. Resta comunque il fatto delle due conclusioni contraddittorie a cui siamo pervenuti; come uscirne? Si potrebbe evitare il problema dicendo che "questo" ipotetico stato dimostra così la sua assurda inconsistenza, ma sarebbe secondo me perlomeno limitativo postulare una Coscienza che c'é sempre (come siamo stati costretti a fare all'inizio!) fuorché quando conosce e riconosce Sé stessa (cadendo qui la dualità soggetto-oggetto anche la relazione-coscienza si fonde nell'unità onnicomprensiva che ne risulta, e quindi Soggetto-Coscienza-Oggetto diventano sinonimi senza alcuna differenza). Per questa ragione propongo invece di superare la precedente contraddizione agendo sulle parole usate, unificando cioè le affermazioni che "il Soggetto ha Coscienza del Soggetto come Sé stesso" e che "il Soggetto non ha più coscienza" nella seguente sintesi: in questo stato il Soggetto é Coscienza, dove "essere" significa identità e non attribuzione nominale!


Tutto questo che per noi é solo un esercizio di "fantasia" logico-verbale, da alcuni rappresentanti di certe scuole di pensiero viene presentato come un fatto di esperienza diretta, ed io non mi sento di rifiutare a priori questa possibilità solo perché non appartiene alla mia esperienza personale. Nell'Advaita Vedanta, per esempio, questo "stato" per noi ipotetico viene indicato con il termine Turiya, cioè il Quarto. La scelta di questo termine serve solo ad indicare che esso non é uno dei tre stati ordinari di coscienza, e non per affermare che esso é effettivamente uno "stato" di coscienza: Turiya é la Coscienza, é ciò che la Coscienza é sempre , é ciò che il Soggetto é sempre , é (dal nostro punto di vista) la Coscienza cosciente di Sé stessa.
Siamo ora arrivati al punto limite della strada così come l'abbiamo affrontata, puntando cioè l'attenzione sul Soggetto "titolare" dei vari stati di coscienza, ed abbiamo visto come ad un certo punto tutto (Soggetto-Oggetto-Coscienza) si fonda in un'unità indifferenziata. Proviamo adesso a ripercorrere la stessa strada variando però leggermente il nostro punto di vista; centrando l'attenzione direttamente sulla Coscienza come entità primaria possiamo così rivedere quanto già detto e riflettere sulle sue implicazioni. La domanda principale che ci troviamo davanti riguarda secondo me l'esistenza e la differenziazione di ciò che la nostra coscienza ci propone, domanda che nel corso dei secoli ha avuto ogni genere di risposta, più o meno realista, idealista o nichilista secondo le diverse scuole o correnti filosofiche. Per quanto mi riguarda vorrei qui seguire l'impostazione data al problema dall'Advaita Vedanta, scuola di pensiero indiana, se non altro perché ciò che ne costituisce il "nocciolo" mi sembra possa assumersi benissimo come denominatore comune ed elemento unificante delle diverse varie visioni possibili.
Cominciamo allora dallo stato prima considerato "finale", quel quarto stato, o Turiya, indicato ed affermato proprio dal Vedanta. A questo stato coscienziale, come visto, non corrisponde alcun universo o mondo percepito, almeno come noi lo intendiamo normalmente. Ciò taglia alla radice (per quanto riguarda Turiya) il problema dell'esistenza e differenziazione dell'oggetto dell'atto coscienziale proprio poiché tale oggetto viene a mancare. Qui tutto E' e basta, al di là dell'esistere o non esistere, "indicabile" solo per successive negazioni sia di ogni possibile caratterizzazione in positivo (relativa agli stati di veglia e sogno) che in negativo (relativa cioè al sonno profondo dove si dice "non esserci" nulla). Ciò che non appartiene alla nostra esperienza comune, e quindi al linguaggio da noi elaborato in base a tale esperienza, non portá mai venire definito propriamente in modo costruttivo: si potrà solo cercare di lasciare il maggior spazio possibile all'avvento di una qualche forma di intuizione personale attraverso l'eliminazione-negazione di ogni ingombrante forma estranea preesistente. Quindi tutto ciò che possiamo dire é che in Turiya non c'é spazio nemmeno per la "formulazione" del problema dell'esistenza o meno del mondo ( per inciso faccio osservare che questo é secondo me l'unico modo per rispondere in modo definitivo ad una qualsiasi domanda: eliminare la possibilità del suo insorgere!).

Scendiamo allora di uno scalino, e consideriamo la Coscienza nello stato di sonno profondo. I Vedantini la indicano con il termine Prajna, cioè "massa indifferenziata di coscienza", per indicare che qui c'é una certa forma di coscienza (quella che ci permette di "ricordare" la cosiddetta incoscienza), ma essa é indifferenziata mancando l'oggetto. Potremmo dire che qui il meccanismo della proiezione duale si é bloccato (oppure che non é partito!), fatto che i Vedantini esemplificano dicendo che qui c'é Avidya ma non c'é Maya, cioè c'é l'ignoranza (della identità ultima di Soggetto-Coscienza-Oggetto) ma non c'é l'azione del Potere Proiettivo o Illusione Cosmica (che crea l'Oggetto-Universo separato dal Soggetto percepiente). Prajna rappresenta in definitiva la Coscienza indeterminata, per certi versi "non esistente", dalla quale scaturiscono poi i due stati determinati della veglia e del sogno. E' per questo che Prajna viene anche considerata come la "causa" degli altri due stati, il Corpo Causale del Soggetto-Coscienza, laddove Turiya é al di là anche di ogni rapporto di causa-effetto con chicchessia. E' proprio l'apparizione della causalità, anche se un po’ sfuocata ed ai margini di una qualsivoglia relazione, che permette di distinguere Prajna e Turiya riguardo al problema della esistenza del "mondo". Infatti mentre riguardo la sua differenziazione non c'é alcuna differenza fra i due stati coscienziali fin qui considerati (in entrambi i casi infatti non c'é alcuna differenziazione), l'apparizione della causalità in Prajna fa sì che qui ci sia un mondo , per quanto "buio", compatto, informe e indifferenziato possa essere. Inoltre questo mondo deve esistere in quanto causa di ciò che per noi esiste (mondo del sogno, ma sopratutto della veglia), a meno che non vogliamo ridefinire il concetto stesso di "esistenza" confinando tutto l'Universo in un vuoto idealismo tendente al nichilismo. Dobbiamo però stare attenti a come usiamo le parole, perché anche con Prajna non siamo rientrati completamente nelle esperienze comuni che hanno formato il nostro comune linguaggio. Per "esistenza" dobbiamo perciò cercare qui di intendere (=immaginare) qualcosa che "c'é" ma non é nulla (di definito), richiesta indubbiamente difficile ma assolutamente indispensabile se vogliamo cogliere la peculiarità di Prajna rispetto agli altri stati.
Facendo un ulteriore passo consideriamo ora la Coscienza nello stato di sogno, detta Taijasa secondo la denominazione vedantica. Taijasa significa "splendente", a sottolineare il fatto che nel sogno la coscienza lavora in autarchia, cioè essa stessa crea (risplendendo) le forme che poi registra (venendone "illuminata"). Qui finalmente appare la differenziazione delle forme, ed un intero Universo (quello dove "siamo" mentre sogniamo) nasce dal gioco di Maya permesso da Avidya.

La differenziazione universale appare non appena ha luogo la prima basilare differenziazione soggetto-oggetto, e questa "contemporaneità" molto probabilmente non é casuale. Resterebbe da vedere se é veramente la frattura io-non io ad innescare il lavoro di Maya, o se piuttosto non é il lavoro di quest'ultima che fa sorgere (come conseguenza di un'analisi a posteriori) la predetta dualità; nel presente contesto basta comunque sottolineare la nascita della dualitá-molteplicitá in Taijasa, evidenziarne il carattere "illusorio" nascendo essa in definitiva solamente da un "gioco di specchi" all'interno del Soggetto, e spiegare così perché solitamente si traduce il termine sanscrito Maya con "illusione". Per quanto riguarda invece l'esistenza del mondo di Taijasa, possiamo tranquillamente affermare che esso sì esiste, ma deriva la propria esistenza da quella del Soggetto-Coscienza di cui l'universo relativo a Taijasa non é che un aspetto. Vediamo allora come, se adottiamo per un attimo l'infelice ma usuale equiparazione fra illusorietá ed inesistenza, lo stato di Taijasa non é poi così diverso da Prajna, almeno per quanto riguarda la risposta che ci troviamo a dare al quesito di partenza: in entrambi i casi il relativo "mondo" esiste, acquista tale esistenza dall'esistenza del Soggetto-Coscienza essendone non-separato, mentre non esiste la differenziazione formale o perché illusoria (Taijasa) o perché assente (Prajna). E' doveroso segnalare che alcune scuole di pensiero non sono disposte a riconoscere al Soggetto nessuna forma di esistenza-realtá, in qualsiasi stato di coscienza esso si trovi, e quindi naturalmente nemmeno all'universo-oggetto relativo. Mi sembra comunque che in questi casi si abbia a che fare o con un nichilismo oltranzista, e secondo me gratuito, oppure con posizioni che dietro parole formalmente diverse nascondono visioni in definitiva molto simili di Ciò che le parole non possono nemmeno sfiorare; in entrambi i casi penso che possiamo tranquillamente e con sufficiente genericità proseguire sulla strada intrapresa.
E’ giunto così il momento di considerare la Coscienza nel suo stato più "comune", o almeno quello a cui più spesso si dà importanza, considerazione e rispetto: lo stato di veglia. Il fatto che uno dei significati più correnti della frase "essere cosciente" sia quello di "essere svegli" dimostra oltre ogni dubbio quanto abitualmente identifichiamo la Coscienza con il solo suo stato di veglia, detto in sanscrito Vaisvanara . Il significato etimologico di tale parola (Vaisva=tutti; Nara=uomini) riassume la caratteristica principale di questo stato, che come abbiamo visto nella prima parte del presente studio é proprio la condivisione con tutti gli esseri dell'Universo ad esso relativo. Sempre nella prima parte abbiamo inoltre visto come i meccanismi coinvolti nel processo cognitivo-coscienziale siano essenzialmente gli stessi in Vaisvanara e Taijasa, il che porterebbe a rispondere al problema dell'esistenza e differenziazione del mondo di Vaisvanara come già fatto per Taijasa; d'altro canto però le riconosciute "esternitá" (pur se proiettata!), continuità, spazialità, temporalità e coerenza causale date dalla condivisione rendono il mondo di Vaisvanara "reale" (e pragmaticamente lo é!) in un modo totalmente diverso da quello di Taijasa, e per tale ragione sollecitano risposte diverse alla domanda di fondo.

Personalmente sono convinto che per due persone realmente telepatiche il pensiero comune sia altrettanto "esterno" ed oggettivo di un qualsiasi altro oggetto facente parte della loro esperienza comune, ma comunque ciò non infirma il fatto che per noi il mondo della veglia é tanto più vero del mondo del sogno da farci ritenere il primo addirittura la "causa" del secondo (ritenuto irreale e inesistente, nel senso usuale del termine), ritrovando in quest' ultimo le stesse forme e relazioni che siamo soliti riconoscere nel mondo di veglia; si "conosce" durante la veglia e si "rielabora" durante il sogno, o almeno così pensiamo di solito e così continuano e continuiamo ad insegnare. Non metto in discussione la possibilità o plausibilità di questa posizione, ma vorrei almeno far notare che dal punto di vista logico, a parte l'aprioristica attribuzione di unica "realtà" alla veglia in base alla pragmaticamente accettata condivisíone, non c'é alcuna prova che il sogno sia meno rea!e della veglia e tantomeno che sia qualcosa di illusorío nel senso di non esistente. Mi sento perciò spinto ad associarmi al prof. I. Vecchiotti quando, nell'introduzione all'Agama-Sastra di Gaudapada (ed. Ubaldini-Roma - 1989) dice testualmente: ... “le certezze del mondo fenomenico hanno alla base una realtà che non dà alcuna verità alle certezze, ma che le mantiene nel loro essere certezze!”. Sembra quasi che la verità pragmatica non si accontenti della sua indiscussa totale funzionalità e, sentendosi "insicura”, cerchi una sua “giustificazione” esterna in una qualche forma di "realtá" che però ín effetti né le appartiene né le é necessaria per gli scopi che essa persegue. Tornando allora alla questione dell'esistenza e differenziazione del mondo di veglia, la posizione più plausibile (o meno arbitraria) in base a tutto quanto è stato detto mi sembra proprio la conferma in Vaisvanara di quanto già detto per Taijasa, nonostante le indubbie differenze, e cioè che anche il mondo di veglia esiste ma la sua differenziazione é solo illusione.
In Taijasa ogni oggetto non é che una forma destinata ad essere subito dopo soppiantata da un altra, mentre in Vaisvanara l'oggetto viene ripetuto e riconfermato attraverso la condivisione fino al punto di renderlo "reale"; non c'é però nulla di più della sua condívísione-ripetizione a renderlo “diverso” da un sogno! Con un esempio potremmo dire che nel “cammino” percettivo della coscienza formalizzata un sogno é un semplice punto di transito, mentre un oggetto dello stato di veglia può essere paragonato a un "crocicchio" o una "piazzola di sosta". Qui si “fermano" tante persone, con i sensi "esterni" al lavoro su cose condivise (e contemporaneamente create!) da tutti; poi in sogno le forme si evocano anche senza “l’oggetto", come un linguaggio appreso, oppure si incontrano-costruiscono per l'evanescente attimo percettivo (non confermato dalla condivisione) di una “singola" coscienza. La "realtà" della differenziazione sta tutta nel gioco di Maya, movimento della mente-coscienza che attraverso successive divisioni-particolarizzazioni prima "crea" e poi "riconosce" tutto ciò che "esiste"; a tal riguardo il seguente brano tratto dalla Chandogya Upanishad é particolarmente esplicito: "tutto ciò che é modificazione esiste solo come nome, avendo la parola come supporto".

Possiamo ora rivedere ulteriormente il tutto sfasando ancora leggermente il nostro punto di vista e concentrandoci, dopo Soggetto e Coscienza, sull'Oggetto dell'atto coscienziale nei diversi stati considerati. Ad ogni stato di coscienza possiamo in un certo senso far corrispondere un intero Universo, costituito dal punto di vista della coscienza "singola" dalla somma delle percezioni (vedi nota 1) di tutti gli esseri (uomini e ...), limitandoci naturalmente a quelle concernenti lo stato di coscienza considerato, oppure, dal punto di vista della Coscienza "universale" (=somma delle varie coscienze singole)

Nota 1: Si intendono qui sia le percezioni "dirette" che quelle "incrociate", cioè le implicazioni di quelle dirette, le implicazioni delle implicazioni, etc... in definitiva le leggi! Nelle "leggi" alla fine non ritroviamo infatti nient'altro che la nostra logica proprio perché noi l'abbiamo messa li, come esemplifica il grande fisico Sir A. Eddington quando disse:
"ho inseguito delle orme sconosciute sulla spiaggia del Creato per scoprire alla fine che erano le mie!"dall'insieme degli "oggetti" registrati da tale Coscienza. Alla fine non cambia nulla: ogni Universo ha un carattere "universale" (la ridondanza non é casuale!), ed é qui, in questo contesto, che la possibilità di una Coscienza Cosmica che unifichi e conglobi tutte le varie coscienze singole trova le sue maggiori giustificazioni. Prima di descrivere i vari “Universi”, voglio però sottolineare che le correlazioni fra stato coscienziale ed universo corrispondente vanno prese, alla luce di quanto precede, come identità sostanziali di due diversi aspetti della stessa “Cosa” nati dal diverso punto di vista considerato; si dovrebbe cioè tenere presente che, per esempio, la Coscienza nello stato di veglia é l'Universo dello stato di veglia, con la chiarezza che la conoscenza di un dato Universo può quindi indurre sulla conoscenza del rispettivo stato coscienziale, e viceversa. Continuando ad usare la terminologia vedantica soprattutto per ragioni di comodità (la nostra cultura infatti non si é mai presa la briga di catalogare e definire questi vari universi), diremo allora che a Vaisvanara corrisponde Virat, cioè l'universo cosiddetto grossolano o materiale. Non voglio soffermarmi qui su cosa effettivamente significa "materiale" e se sia effettivamente diverso da "mentale" o "spirituale". Tutti i discorsi precedentemente fatti sollevano già secondo me sufficienti dubbi sull'evidenza ed ineluttabilità di tale divisione, e la stessa cosa fanno tutte le varie malattie "psicosomatiche" dove mente e materia si "fondono" ed interagiscono in barba ad ogni divisione; d'altronde qui mi basta indicare cosa si intende per Virat, e se poi ci accorgiamo che non é così "diverso" dagli altri "mondi" come pensiamo di solito... tanto meglio. Voglio sottolineare però il fatto che Virat é l'unico universo riconosciuto da tutti come reale, l'Universo per antonomasia, conseguenza questa e causa del perpetuarsi della nostra cultura prettamente materialistica. Facciamo quindi finta di conoscere bene Virat, o almeno di sapere di cosa si sta parlando, e passiamo all'universo che "emerge" durante il sogno: Hiranyagarbha, ciò di cui é cosciente Taijasa, la Coscienza che "sogna". Esso costituisce l'insieme di tutti i pensieri, le emozioni, etc...universali, rappresenta quello che si indica anche come Corpo Sottile dell'Universo, "causa" in un certo senso di Virat (l'idea nasce prima dell'atto), "causato" per altri versi dallo stesso Virat (l'oggetto determina le idee e le emozioni corrispondenti). Tutte queste ambigue relazioni causali vengono letteralmente a cadere se si pensa che la Coscienza é una, e Vaisvanara-Virat e Taijasa-Hiranyagarbha non sono che nomi-aspetti della stessa. Hiranyagarbha é pure il nome che in altri contesti si dà a Dio sia come essenza creatrice immanente che come "forma" ultima prima della dissoluzione delle varie forme in un'unità indifferenziata, a testimonianza del fatto che l'universo sottile é comunque da considerare la "via di mezzo" fra Virat e Ishvara. Abbiamo così introdotto il terzo "universo" del nostro elenco, Ishvara, quello corrispondente a Prajna, la Coscienza indifferenziata che associamo allo stato di sonno profondo. Proprio per questo non possiamo dare una descrizione di Ishvara né riguardo la "forma" (che non c'é!) ne riguardo i suoi "contenuti" che senza forma non possono in nessun modo venir individuati (cioè distinti l'uno dall'altro). Per Ishvara si può solo ripetere ciò che abbiamo già detto per Prajna: una massa indifferenziata di Coscienza questa, un'Unità senza alcun "appiglio" per una possibile descrizione, quello. Con Ishvara indichiamo l'Unità di fondo di tutto ciò che esiste, la radice immanifesta del Manifesto (Hiranyagarbha e Virat), ciò che possiamo solo intuire o postulare ma non cogliere con qualsiasi processo coscienziale duale.

Anche al "quarto" stato coscienziale, o Turiya, il Vedanta fa corrispondere un "universo", detto Brahman. Qui viene evidenziato ancor più quanto già detto per Ishvara, e cioè che anche Brahman non é un universo in quanto collezione di vari oggetti diversi, bensì in quanto "controparte" (necessaria per amore di analisi, ma in realtà identica ) della Coscienza in un certo stato. E' abbastanza difficile, se non impossibile, evidenziare verbalmente le "differenze" fra Ishvara e Brahman, entrambi essendo un'unità indifferenziata al di là di ogni definizione, e forse solo la presenza o meno della causalità può aiutarci a distinguerli. Ishvara infatti rappresenta in un certo senso la causa degli universi formali Virat e Hiranyagarbha, Brahman invece é al di là anche del concetto di causa, E' e basta (come già detto peraltro di Turiya). Più di tante parole può aiutarci un esempio concreto. Un dischetto per computer vergine, appena acquistato, é impossibilitato a svolgere il suo compito, non può cioè venir registrato con dati ed istruzioni. Se noi infatti proviamo ad usarlo ci viene subito segnalata da parte del computer la propria incapacità di entrare con esso in rapporto costruttivo (causale!) essendo il dischetto inadeguato per un uso che (notiamolo!) non intacca comunque mai la sua essenza coinvolgendo solo una certa disposizione-ordine delle componenti magnetiche del dischetto stesso. In gergo si dice che il dischetto esce dalla fabbrica "non formattato" e che per poterlo usare noi dobbiamo perciò prima di tutto "formattarlo" (l'operazione consiste nel creare una certa "griglia" di riferimento rispetto alla quale poter poi lavorare efficacemente, cioè causalmente). Il dischetto é sempre lo stesso, altrettanto "bianco" per quanto riguarda istruzioni registrate, ma solo dopo essere stato formattato é pronto per accogliere le eventuali registrazioni. L'esempio promesso nasce a questo punto dal paragonare Brahman ad un dischetto vergine, Ishvara allo stesso dischetto dopo essere stato formattato, Hiranyagarbha al dischetto con registrate istruzioni relative al solo dischetto in questione, Virat al dischetto quando vengono registrate anche istruzioni destinate all'esterno, cioè ad altri dischetti-utenti collegati a quello in questione (in questi ultimi due aspetti sarebbe forse meglio considerare l'insieme di tutti í dischetti, invece di uno singolo, per dare maggior senso all'alternativa fra condivisione e autarchia dei dati registrati).
Un altro esempio consiste nel dire che se consideriamo come Brahman il presente foglio (senza alcuna altra caratterizzazione) allora Ishvara é questo stesso foglio sul quale però possiamo disegnare i due quadrati concentrici rappresentanti Hiranyagarbha e Virat (vedi figura 1). Chiaramente pur essendo Ishvara dappertutto (tutto il foglio é Ishvara!), lo possiamo cogliere nella sua "purezza" solo all'esterno dei due quadrati, là dove non c'é alcuna "presenza" formale.

 

 
 
figura 1

 
  Con termini forse per noi culturalmente più usuali possiamo dire che Ishvara é Dio (onnipresente, onnipotente, etc...) mentre Brahman é...!
Il precedente esempio é utile anche per evidenziare una possibile relazione costruttiva fra il mondo di Taijasa e quello di Vaisvanara. Fra le varie "idee" presenti in Hiranyagarbha c'é anche quella della separativitá (considerata effettiva) fra le diverse coscienze individuali, le quali possono esplicarsi in due modi: o solo all'interno della "cornice" con cui abbiamo indicato Hiranyagarbha, oppure coprendo una zona che include sia una parte di Hiranyagarbha che una del "centrale" Virat. Viste così non appare alcuna differenza sostanziale fra le due modalità coscienziali, però attraverso il confronto con le "altre" coscienze ci si accorge che nel secondo caso una parte più o meno grande é comune con quella "coperta" dalle altre coscienze; proprio la "zona" così condivisa é ciò che costituisce l'oggetto appartenente a Virat.
Questo modo di considerare la faccenda (vedi figura 2) evidenzia inoltre come non esista un "oggetto" indipendentemente dalla percezione di qualcuno, e come ci sia sempre e comunque una parte assolutamente soggettiva in ogni atto coscienziale (ciò che di solito si indica con il "punto di vista"). La differenziazione in Virat non sarebbe perciò altro che una proiezione della separatività in Hiranyagarbha; l'esistenza di "oggetti" separati e (postulati) indipendenti si può infatti spiegare altrettanto bene considerando un "Oggetto" unico e non separato visto da diversi punti di vista (creazione attraverso separazione!): la
 
 
figura 2

 
  differenziazione-divisione-limitazione di me, te, lui, etc...! E' curioso d'altronde notare che il senso di separativitá dell'io (delle varie persone) appartiene a Hiranyagarbha, cioè allo stato relativo alla non-condivisione (o così almeno si crede) del percepito. Risulterebbe da ciò che la "divisione" sembra nascere proprio là (nella "mia" testa) dove pensiamo di essere "unitari", cioè proprio dove paradossalmente siamo disposti a riconoscere l'identità soggetto-oggetto. Ho ritenuto opportuno segnalare questo paradosso per evidenziare come molte cose e molte accezioni che siamo soliti dare per "scontate" si rivelino nel loro complesso insostenibili se appena appena le consideriamo in un ordine o in un'ottica legittima ma diversa da quella canonica; ritengo, infatti, che una qualsiasi verità debba essere indipendente da come la si guarda, altrimenti é solo opinione!
Proprio queste ultime riflessioni mi obbligano a riconsiderare quanto detto finora e a vedere se tutto ciò che ho scritto possa avere un senso anche per chi lo legge. Mentre procedevo mi rendevo conto che stavo via via inevitabilmente scegliendo una sola fra le innumerevoli possibili strade che mi si presentavano davanti, e la medesima cosa si é riproposta ad ogni passo successivo. Non posso perciò pretendere che quanto ho detto sia la verità, e mi accontenterei di poterlo difendere almeno come opinione legittima; purtroppo penso di non aver automaticamente raggiunto neanche questo risultato "minimo", dato che
l'argomento onnicomprensivo e le mie limitate capacità mi hanno portato a confondere spesso i diversi piani di analisi e gli stessi oggetti del discorso. Cercando allora di meritarmi almeno "l'onore delle armi", e ammettendo così implicitamente la mia "sconfitta" riguardo il fare chiarezza su un argomento complesso come la Coscienza nei suoi molteplici aspetti, voglio però puntualizzare esplicitamente alcune cose peraltro già dette fra le righe (aver fatto ciò all'inizio sarebbe stato inutile in quanto incomprensibile; farlo adesso invece può forse spingere ad una rilettura del tutto avendo ora la possibilità di una interpretazione "globale" sicuramente più vicina alle mie intenzioni). La riconsiderazione delle stesse cose in tre successivi passaggi, centrando successivamente l'attenzione su Soggetto, Coscienza e Oggetto, ha reso evidente l'arbitrarietà e la sostanziale impossibilita di tale rigorosa divisione essendoci continui spostamenti da un concetto all'altro per la loro mutua comprensione. Si dovrebbe perciò tenere sempre presente tale arbitrarietà, ed anzi partire proprio da questa consapevolezza per cercare di cogliere l'assoluta ultima identità fra stati coscienziali individuali e universali, fra Coscienza nelle sue varie manifestazioni e Universi corrispondenti, fra gli stessi vari stati coscienziali nonché fra i vari Universi considerati. Solo usando le diverse parole come mero punto di partenza, senza fermarcisi sopra secondo il già ricordato insegnamento della Chandogya Upanishad, possiamo forse sperare di poter cogliere qualche lampo dell'insondabile mistero di ciò che chiamiamo Coscienza.

Per non dare però l'impressione di considerare "finito" il mio lavoro (non potrà mai esserlo!) voglio aggiungere un criptico "riassunto" di quanto detto, tratto dalla Mandukya Upanishad, da prendere solo come "materiale" per esercitare e sottoporre a verifica le "nuove" conclusioni a cui possiamo essere giunti. Nel suddetto breve trattato, facente parte dei Veda, si propone l'identificazione dei tre stati di Veglia, Sogno e Sonno Profondo con i tre suoni/lettere, nel rispettivo ordine, della sillaba sacra AUM (ricordo che la sillaba AUM, spesso contratta secondo le regole foniche sanscrite in OM, rappresenta il Suono primordiale da cui Tutto ebbe origine). Il suono M si ottiene infatti facendo vibrare l'aria nella bocca chiusa che, in quanto tale, non permette alcuna articolazione del suono; diciamo perciò che la M é la "causa" di tutti gli altri suoni rappresentando essa la mera produzione sonora. Per ottenere la A dobbiamo invece aprire completamente tutti i canali vocali; la A rappresenta quindi in un certo senso la piena manifestazione sonora, essendo tutti gli altri suoni articolati solamente delle sue modificazioni. La U infine, ottenibile "passando" con continuità dalla A alla M o viceversa, rappresenta la fase intermedia della manifestazione sonora formalizzata. Ecco cosa legittima le connessioni A-Vaisvanara-Virat, U-Taijasa-Hiranyagarbha, M-Prajna-Ishvara. E Turiya-Brahman? In questo contesto Esso corrisponde all'AUM nella sua totalità, a ciò che sottostà, unifica e dà senso ai singoli suoni A,U,M. Quindi, "traducendo": c'é sempre e solo Brahman, la Coscienza é sempre e solo Turiya, ma di volta in volta o Virat "appare" a Vaisvanara, o Hiranyagarbha a Taijasa, oppure Ishvara a Prajna. C'é anche un' "alternativa": Vaisvanara"crea" Virat, Taijasa "crea" Hiranyagarbha e Prajna "crea" Ishvara. Oppure... penso di aver "giocato" già abbastanza, ora occorre un po' di rispettoso silenzio.
 
                                                                               Stefano Lazzarich  
     
  tratto da: Manas, nuove proposte di studio - MonfalconeUdineVenezia